L’oscurità è vertiginosa. L’uomo ha bisogno di luce. Chiunque si sprofondi in ciò che è contrario alla luce si sente il cuore serrato. Quando l’occhio vede nero, la mente vede torbido. Nell’eclisse, nella notte, nell’opacità fuligginosa, v’è dell’ansia, anche per i più forti. Nessuno cammina di notte, nella foresta, senza tremito. Ombre e alberi, due oscurità temibili. Una realtà chimerica appare nelle tenebre indistinte. L’inconcepibile si delinea a pochi passi con una regolarità spettrale. Si vede fluttuare nello spazio o nel cervello un che di vago e di inafferrabile come i sogni dei fiori addormentati. Vi sono atteggiamenti feroci sull’orizzonte. Si aspirano gli effluvi del gran vuoto nero. Si ha paura e nello stesso si ha voglia di guardare dietro di sé. La cavità della notte, le cose divenute smarrite; i profili taciti, che si dissipano quanto più si avanza, gli arruffi oscuri, i cespi irritati, le pozzanghere livide, il riflesso lugubre nel funebre, l’immensità sepolcrale del silenzio, gli esseri sconosciuti possibili, le curve dei rami misteriosi, spaventosi torsi d’alberi, le erbe frementi; si è senza difesa contro tutto ciò. Non c’è ardimento che non trasalisca e che non senta la vicinanza dell’angoscia. Si trova qualcosa di orrendo, come se l’anima si amalgamasse all’ombra.
Questa penetrazione delle tenebre è inesprimibilmente sinistra in un fanciullo.
Le foreste sono apocalissi; e il fremito delle ali di una piccola anima fa un rumore d’agonia sotto la loro volta mostruosa.
– I Miserabili, Victor Hugo –
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