Gli Ultimi Uomini – Olaf Stapledon – Citazione – 2

Con amorevole meticolosità cercarono di raffigurarsi la storia delle specie estinte come i brontosauri, gli ippopotami, le scimmie e gli uomini che avevano popolato l’Inghilterra e l’America, fino all’ancora esistente ameba. E se non potevano non sorridere della comicità di quegli esseri primitivi, quel divertimento era il risultato dell’affettuosa comprensione per quelle nature semplici, era la negazione del principio secondo il quale il primitivo è essenzialmente tragico perché cieco. E così, mentre si rendevano conto che il lavoro principale dell’uomo deve guardare al futuro, capivano che avevano un dovere anche verso il passato, che dovevano conservarlo almeno nel ricordo se non era possibile riportarlo alla vita. Nel futuro si nascondevano la gloria, la gioia, la brillantezza dello spirito. Il futuro esigeva di essere servito, non chiedeva né compassione né pietà. Nel passato si celavano le tenebre, la confusione, lo sperpero e tutte le menti primitive, limitate e confuse, che si torturavano a vicenda nella loro stupidità, eppure tutte e ognuna a loro modo belle.

– Gli Ultimi Uomini, Olaf Stapledon –

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Recensione de Gli Ultimi Uomini – LEGGI

Gli Ultimi Uomini – Olaf Stapledon – Recensione

Risultati immagini per gli ultimi uomini olaf stapledonIl mio giudizio su Olaf Stapledon e il suo libro di fantascienza è scisso. Sì, perché una parte di me ha scoperto un autore fantasioso e leggeva con curiosità le vicissitudini delle ben 18 razze umane susseguitesi nell’ucronia e distopia di Stapledon, mentre l’altra parte di me si metteva, a volte, le mani nei capelli, a causa di cadute di stile grottesche e pregiudizi sparsi qua e là.

Il libro è stato scritto negli anni ’30 del 1900 e si sente tutta la tensione dovuta alla guerra mondiale appena conclusa e a quella ormai alle porte. Ed è proprio dai tempi della Società delle Nazioni che questo romanzo-non-romanzo prende l’avvio.

Questo lavoro di fantasia è scritto come un libro di storia, non ci sono che rari dialoghi e non ci sono particolari personaggi da ricordare. Si parla dell’evoluzione della razza umana da come la conosciamo a un qualcosa di completamente lontano da noi; sia dal punto di vista dell’organizzazione sociale, che dal punto di vista fisico. Gli uomini di Stapledon combatteranno prima tra di loro, poi contro l’invasione marziana, si sposteranno prima su Venere, poi su Nettuno, impareranno a volare, a viaggiare nel tempo, a comunicare col pensiero… tutto questo attraverso i meccanismi dell’evoluzione, evidentemente tanto cari all’autore. Attraverso miliardi di anni, l’umanità di Olaf Stapledon rischierà più volte l’estinzione e più volte rinascerà per tornare ad essere grandiosa, fino all’estinzione finale (benché il finale, tragico, è comunque aperto e una speranza di far fiorire il seme dell’umanità da qualche altra parte dell’universo, seppur minimale, permane).
Tutto bello, potrà dire qualcuno, fino a qui, vero? Sì questo è il lato positivo del libro, che agli amanti del genere comunque consiglio.

Per quanto riguarda i lati negativi, non posso tacere il fatto che negli anni in cui il romanzo(-non-romanzo) tratta eventi a noi vicini, i casus belli inventati dallo scrittore sono inverosimili e a volte ridicoli: stupri o omicidi (di per sé orribili crimini), le cui vittime sono dei signor nessuno, basterebbero per Stapledon a far sì che la Francia e il Regno Unito si dichiarino guerra totale, con l’annientamento completo di una delle due. Ora… ribadisco che si tratta di crimini orribili, ma da qui a far scoppiare guerre mondiali (nel nostro tempo) con scuse del genere… beh… si potevano inventare trame più machiavelliche, per far estinguere un popolo! Anche la resa, nella narrazione, di questi espedienti, fa venire voglia di chiudere il libro e non continuare più la lettura. Ma sarebbe un peccato. Perché la pazienza alla fine ha comunque pagato e più ci si allontana dalla realtà e più il libro migliora.

Altra cosa che non mi è piaciuta è il fatto che Stapledon utilizza più la parola razza, che gli articoli determinativi! Iperboli a parte, se un socialista, pacifista, come lui era così addentro la retorica della razza, non oso immaginare quelli che negli anni ’30 erano i cattivi, come dovevano esprimersi. Questa parola, ripetuta così spesso e anche senza che, molte volte, ce ne sia bisogno, mi ha innervosito.

E purtroppo le note dolenti non terminano qui. Ad un certo punto accade una cosa che mi è davvero dispiaciuta, perché nonostante la piacevolezza del libro, sa tanto di pochezza ed è sintomo di un enorme pregiudizio (e forse il povero Stapledon non aveva mai scavato davvero a fondo dentro se stesso). In pratica, dopo un evento catastrofico, della “razza” dei Patagoni si salvano solo una quindicina di persone. Tra queste vari cacciatori e vari scienziati. Per incompatibilità queste due categorie si separano e cosa accade? I discendenti dei cacciatori – giunti in un altra parte del mondo -regrediscono al rango animale, divengono subumani. Mentre i discendenti degli scienziati evolvono in creature perfette. Ma tu guarda un po’!

Dulcis in fundo, per quanto riguarda la sinfonia delle note dolenti, cito l’uso sfrenato dell’eugenetica che – in pratica – ogni specie umana mette in pratica e, ancora, l’idea diffusa che i vecchi e i malati si debbano lasciar morire, per non intralciare il cammino dei giovani e sani. Ora io so che Stapledon ha dichiarato che ha volutamente ideato un futuro dai toni cupi, sperando che nella realtà non si avveri mai… eppure durante la lettura ho avuto la costante sensazione che – sotto sotto – certi temi ricorrenti li condividesse. Perché alla fine, per esempio, il fatto che i discendenti di chi faceva lavori più umili sia degenerato nella subumanità è una precisa scelta dell’autore e non dei personaggi, né necessaria al racconto. E questo, come le altre cose che ho elencato, apre uno squarcio nella superficie di Stapledon che non desidero esplorare più approfonditamente.

Ecco, se non si è molto critici, si può godere di questa storia, nel vero senso della parola, in serenità, pagina dopo pagina. Se non si riesce a mettere a tacere il proprio senso critico, invece… beh… è difficile apprezzare completamente Gli Ultimi Uomini. Mi sorprende che un uomo che abbia studiato filosofia e psicologia non abbia saputo scrivere un’opera che si discostasse dai pregiudizi del suo tempo. Invece, Stapledon li usa e ci costruisce sopra il futuro dell’umanità. Forse l’humus culturale degli anni ’30 era così viziato dal nazionalismo e dal razzismo, che persino i più insospettabili ne avevano qualche germe addosso… non so. Non voglio credere che sia inevitabile. Ad ogni modo, il libro per questo motivo e anche come “storiella” risulta egualmente interessante, benché qualche moto di sconforto/rassegnazione ve lo farà venire.

– Giuseppe Circiello –

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